Long Marco Bao racconta i suoi 20 anni di Spufight
20 anni fa nasceva la New Athletic, e con lei un giovanissimo istruttore di Viet Vo Dao e Viet Boxing dava vita a quella che sarebbe diventata una squadra iconica della Kick Boxing italiana e internazionale. Approfittiamo quindi dell’occasione per farci raccontare da lui com’è andata.
Che differenza c’è tra Viet Boxing e Kick Boxing e, soprattutto, da dove viene il nome “Spufight”?
È una domanda alla quale è piuttosto difficile rispondere. Ormai si dà un nome ad ogni cosa e specie nello sport questa cosa è un po’ sfuggita di mano. In gara si sentono dire molte cose, molte specialità -light, kick light, k1 light, ecc.- ma spesso questi nomi diversi indicano solo regolamenti diversi.
Nel nostro caso, credo che abbiamo fatto sempre la stessa cosa, cioè un tipo di combattimento sportivo che trae le sue origini dalle arti marziali vietnamite. Insegno kick boxing, ovvero un tipo di combattimento sportivo con l’uso di tecniche di pugno e di calcio (non in quest’ordine direbbero i miei allievi), ma è innegabile che nel farlo sia influenzato dal mio background di artista marziale vietnamita. In sostanza, potevo usare esercizi più “occidentali” chiamare le tecniche e i numeri in inglese o in italiano ma, visto che i risultati venivano, perché obbligarmi a questo sforzo traduttivo?
Il nome Spufight viene da un gioco con i miei compagni di allenamento a Voltabarozzo e dalla maniera che abbiamo sempre avuto di prendere con leggerezza un ambiente un po’ troppo pieno di esaltati come quello della Kick. Mi dicevano che ero il più piccolo, uno sputo… E così nello scegliere un nome per la squadra, per portare quell’idea di spensieratezza non potevo che inserire il mio nomignolo “Spu”.
Come in tutte le relazioni lunghissime, negli anniversari importanti qualcuno pone la fatidica domanda: come vi siete conosciuti? Ed eccola qui infatti:
Come sei arrivato alla creazione della Spu nel lontanissimo 2004?
Spero di non sembrare un anziano che racconta aneddoti di guerra ma ricordo come fossero ieri quei giorni.
Cerco di farla breve: mi allenavo a Volta, in un corso di Kick pieno di mezzi fenomeni. Simone Brombin, Roby Morbiato, Davide Beggiao… Gente che nel nostro ambiente è ben conosciuta.
Quindi sì, ero uno dei tanti. Mi allenavo come adesso: tantissimo sudore ed impegno, un po’ anarchico nella tecnica. Provavo gli stessi colpi stupidi che faccio ora ed alternavo allenamenti in cui le prendevo da tutti ad allenamenti in cui sembravo insuperabile: beata gioventù. Un giorno d’estate mio padre, Maestro Bao Lan, salì e ci osservò allenarsi.
Per puro caso quel giorno non ce ne fu per nessuno: ero incontenibile e mi riuscì tutto. Seppi poi che poco prima era venuto Fulvio Papalia a paragli dei suoi progetti per la New Athletic e gli aveva chiesto un allenatore di Kick dal suo corso. Probabilmente non avrebbe mai scelto me se quel giorno non fossi stato in stato di grazia, o forse aveva già la mezza idea di mandarmi a fare le ossa, non si saprà mai.
So solo che un mesetto dopo, in spiaggia a Nha Trang, Fulvio mi fece la “proposta” e accettai. Ricordo benissimo quando salii per la prima volta le scale della “New”, col vago sentore di “fermate il mondo voglio scendere”.
Inizi difficili, come sempre. Ma ad oggi una delle scelte migliori che abbia fatto.
Come descriveresti la filosofia di allenamento di Spufight e quali valori cerchi di trasmettere ai tuoi allievi?
Siamo nero gialli, no?
Nero, significa marzialità, rigore, impegno, sacrificio, onore (non nel senso che gli danno gli esaltati). Il giallo è un colore allegro, spensierato, irriverente, solare, gioioso.
Siamo così: ci alleniamo duramente, non siamo uno sport ma un’arte marziale, rispettiamo e ci rispettiamo, abbiamo dei valori ma al tempo stesso sappiamo che è un momento di gioia, sappiamo non prenderci sul serio. Ci piace essere le mine vaganti in un mondo un po’ troppo.. grigio.
Se diamo un’occhiata al medagliere totale di questi 20 anni, ci rendiamo conto di trovarci davanti ad una serie scintillante di vittorie, ma la storia di una squadra non è fatta di sole medaglie.
Quali sono stati i momenti più memorabili, le vittorie più significative e le sconfitte più importanti per la Spufight?
Ok, limitiamo la cosa a 3 momenti per non essere enciclopedici.
- Le trasferte quelle lunghe (i Mondiali ed Europei). Il primo mondiale non si scorda mai (2008) ma anche il successivo (2009) quello ad Alicante (2010) fino ad arrivare agli europei di VVD di Ginevra 2014 e Porto 2019. Se ci penso ho i brividi. Ci sarebbero anche i viaggi in Vietnam ma lasciamo perdere dai…
- Le finali di San Marino del 2014: L’ultimo grande ballo di una generazione fantastica e l’alba di una nuova che stava nascendo. Gente che mi è stata e mi è ancora molto vicina. C’erano Spongy, Mach, Chiara, Sydio… All’ultimo incontro (di Mach coi suoi pantaloncini 4xl rosa) uscii da solo dal palazzetto a piangere. Pensavo fosse la fine di un ciclo anche per me, e invece…
- Forse il più importante: la ripresa dopo il Covid. Ci siamo lasciati con uno squadrone nella gara di Casalromano nel febbraio 2020, eravamo inarrestabili e forse un pò presuntuosi. Mi sono ritrovato con 4/5 ragazze quasi nuove via zoom prima, poi all’aperto in una piazza, poi distanziati. Per quasi due anni. Sembrava la mazzata finale, è stato il più grande capolavoro. Merito loro ovviamente. Dai diamanti non nasce niente, da letame nascono i fiori, no?
Tante volte si sente parlare in maniera generica di “Kick” per riferirsi alle discipline da combattimento, puoi darci qualche dettaglio sulle tipologie di combattimento che insegni ai tuoi atleti?
Ho un po’ risposto sopra. Kick Boxing è il generico “calci pugni combattimento sportivo”. L’entità del contatto ci porta ad una macro differenziazione fra contatto pieno e contatto leggero (il nostro).
La differenza poi la fanno i regolamenti, ovvero le tecniche ammesse. Nel nostro caso facciamo light contact e kick light che, a differenza del primo, ammette i low kick, calci sotto il ginocchio.
La storia della Spu è legata a doppio filo a quella del Viet Vo Dao, ma si relazione anche con tante altre realtà.
In che modo collaborate con altre organizzazioni o figure dentro e fuori dal ring?
In ogni maniera possibile. Per esempio, adoro vedere i miei allievi fare da staff alle gare di Viet Vo Dao. Il giorno che un mio allievo mi dirà “io voglio arrivare fare la gara e andarmene riposato” capirò che non è più cosa per me.
Il marzialista completo, dal mio punto di vista, da una mano, aiuta, collabora, fa stage ancor più che gare, apre i suoi orizzonti, lega con tutti. Farsela e cantarsela non serve a nulla, così come restare sempre e solo coi propri compagni di allenamento.
Un grande vanto è che gente della Spufight come Sydio, la Tega, Chiari, persino Flippy li conoscono tutti. Ci sono tanti maestri e istruttori o cinture nere che fuori dalla loro palestra non li conosce nessuno.
Ogni anno di competizioni culmina con un grande evento a San Marino, la finale della “Kick Boxing World Cup”. Come si prepara una squadra per un evento del genere?
Semplice. Per un mese li massacro fisicamente. =) Li faccio arrivare in una condizione fisica tale da reggere il doppio di quello che dovranno reggere (se sopravvivono).
Così l’ansia e l’adrenalina non ci faranno strani scherzi. Un pochino di strategia (ma Roma non si costruisce in un giorno). Poi lavoro solo sulla testa. Infine, penso a chi combatterà, cerco di capire cosa può dargli una vittoria ed una sconfitta e poco prima che inizi la gara faccio un bel discorso.
Le vittorie vanno e vengono ma una gara che lascia un bel ricordo nella testa di una persona è il regalo più bello che gli posso fare. E ci unisce ancor di più.
La “Spufight Cup” e lo “Spufight Day” sono ormai due appuntamenti iconici per la squadra. Vuoi raccontarci cosa sono?
La prima è una gara fra noi e alcuni gruppi amici. Cerchiamo di evitare gente poco raccomandabile da quando venne una squadra con la maglia “ve demo un fracco de botte”. Giuro.
Qui sperimentiamo anche cose nuove tipo gare a squadre con touch o la “gna homo” la categoria dove tutti possono combattere quanto vogliono o con chi vogliono. Così anche i nuovi possono fare esperienza.
Lo SpuDay è la giornata dell’orgoglio gallonero: uno stage -col fresco del primo pomeriggio a luglio- di amici maestri con una cena homemade, tanto da bere, spettacoli premiazioni.
È nata per dare gratificazione ad una squadra che all’epoca ne aveva poche. È continuata come festa per celebrare di anno in anno lo spirito Spufight. Le più belle storie nascono in queste folli serate e siamo contenti di aver ripreso -anche se in maniera un pò improvvisata- dopo la pausa Covid. Ci stiamo attrezzando per tornare alla grande!
Chi entra nella Spufight riceve da sempre un simpatico nomignolo, da cui con ogni probabilità non si separerà mai più. Come avviene la genesi di un soprannome? Chi lo sceglie e perché? E soprattutto com’è iniziata questa tradizione?
La leggenda dice “per ricordarsi i nomi di tutti” ma sappiamo che in quanto a memoria non ho problemi =) In realtà volvevamo scriverci i nomi sule maglie ma molti di noi avevano soprannomi nati in squadra (Spongy, il primo) o fuori (tipo Mach).
Preferivamo mettere i soprannomi perché più leggero ed informale, come volevamo noi. Poi ci abbiamo preso gusto a vedere la gente combattere con nomi tipo Stellina, Ciosa, Tega ecc. Ed è diventata tradizione Spufight. Un tempo gli sceglievamo al bar quando uno o una faceva qualcosa di divertente.
Or ora c’è un comitato whatsapp che li sceglie, io dico solo sì oppure no. Ma ci siamo addolciti un po’ eh. Tranne Tommaso.
Nel corso degli anni, centinaia di persone hanno dedicato pezzi più o meno lunghi delle loro vite a questa squadra. C’è chi è rimasto, chi va e viene e chi è partito per non tornare. Da coach hai creato un legame speciale con ogni allievo… (ma te li ricordi davvero tutti?)
Come vivi il fatto che così tante persone attraversino la Spufight, con le loro storie e i loro entusiasmi? Diventa una storia già vista? C’è una misura di solitudine nell’essere il coach di una squadra così?
Urca domanda difficilissima. Per prima cosa, se ci penso mi onora che ci sono tante cose nate nella Spufight. Credo che oltre al mio, ci siano un altro paio di matrimoni, tante coppie, moltissimi amicizie (anche di gente che non si vede più).
L’unica cosa che ho imparato e non giudicare mai le persone di primo acchito. Chiunque può nascondere un patrimonio umano da scoprire. L’ho capito sbagliando. Si è iscritto un ragazzino fastidioso, che parlava troppo e che non si levava mai dalle scatole ed è diventato uno dei combattenti più forti nonché uno dei miei testimoni di nozze.
Si è iscritta una ragazzina molto poco marziale, che rispondeva dietro (durante l’allenamento ndr), che sembra noncurante di tutto: siamo sposati da un anno e mezzo. (E risponde ancora dietro).
C’è comunque molta solitudine nel mio ruolo. È la cosa che più mi ha ferito in passato e che più mi ha portato vicino all’addio. Crei tanto, dai tanto ma alla fine per certi versi ti ritrovi solo. Puoi essere un punto di riferimento, una spalla su cui piangere, un confidente ed un parafulmine. Ma poi ti ritrovi comunque in una posizione diversa rispetto ad un compagno di allenamento… Non so se mi spiego.
La cosa è migliorata con la maggior età. A 38 anni, con una famiglia seppur piccola, le cose di squadra occupano una parte meno preponderante e riesco a viverle con maggior serenità e credo questo si percepisca.
Un grande aiuto me lo danno le ragazze che, per esempio, assolvono a questioni pratiche, lasciando a me quelle tecniche e…umane. A volte vorrei essere più incluso come un tempo, poi mi rendo conto che non ce la farei comunque.
L’importante è finire sempre per primo gioia di vivere, no?
Bonus track: Sappiamo che escogiti modi creativi per torturare i tuoi atleti, raccontaci l’esercizio (o la serie) che ad oggi ti rende più orgoglioso.
Ce ne sono troppi. Veramente. Solo uno? Se mi concedi 1 outdoor e 1 indoor siamo pari!
Dai, allora in palestra scelgo “gioia di vivere” che si è evoluto divenendo meno “da codice penale” ma toglie comunque il sorriso (ed il fiato) ed è un po’ leggendario.
Outdoor non posso non citare il famoso “KM strxxxo”. Inventato in ritiro, riutilizzato in piccolo durante la pandemia: si spinge in due una macchina per 500 mt (con due persone a bordo che poi la riportano indietro e fanno cambio), dopo 500 mt la si molla e si scatta per tornare indietro. Totale: un chilometro di emozioni.
Da non fare se hai i punti su una mano, citando un nostro amico commercialista.