La sala pesi non ti giudica: non giudicarla!
Oggi ci immergeremo nell’affascinante mondo della sala pesi, un luogo ricco di misteri, fatto di riti sconosciuti e popolato da una fauna meravigliosa.
Poche e pochi si sono avventurati oltre l’invisibile barriera che separa l’ingresso da questa giungla di ferro. Qualcuno l’ha attraversata per raggiungere la macchina del caffè, chi si è spinto oltre, fuori dal sentiero, raramente ha fatto ritorno.
Non preoccuparti, questa non è la solita ramanzina sul prendersi cura del proprio corpo: questa è la guida che nessuno ha mai scritto, la stele di rosetta della sala pesi, la chiave dello stargate.
La Sala Pesi: Nomen Omen? No.
La prima cosa che voglio sfatare è il mito che la sala pesi sia fatta di pesi. Lo so che si chiama sala “pesi”, ma è un po’ come quando a vent’anni hai un amico magro magro e tutti lo chiamano “Secco”. Adesso ha 56 anni e per leggere il giornale lo appoggia sulla pancia – tonda e tesa – che ha coltivato nel tempo, ma tutti continuano a chiamarlo Secco. Funziona così, non puoi farci niente. La sala pesi si chiama così, ma se ti fa sentire meglio possiamo chiamarla Donatella.
Donatella non si occupa solo di manubri e dischi di ghisa. Certo, negli anni 70 erano il suo forte, coltivava una segreta passione per Schwarzenegger e dedicava tutto il suo tempo a certe testosteroniche attività. Ma sono passati 50 anni! È cambiata!
Le sue vaste praterie non sono solo per le Wonder Woman e gli Hulk del mondo: sono ormai attraversate da pole dancer, meditatrici seriali, ballerini, maestri di yoga, signore settuagenarie che nella vita di pesi ne hanno portati abbastanza ed ora sono qui per fare stretching. La ghisa, nel suo tempio di piccole panche, se ne sta buona in fondo, dopo le colonne. Ha perso un po’ della sua aura potentissima e si accontenta di aiutare con umiltà anche chi fa recupero funzionale, mostrando con timidezza quei dischi da 2kg che una volta nascondeva sotto un manto di spavalderia.
La fauna locale
Tieni a mente che la sala pesi (se vuoi puoi continuare a chiamarla Donatella, a me comincia a mettere un po’ a disagio) è come un buffet, ma non di quelli tipo brindisi aziendale in cui dopo 30 secondi sono rimaste solo le patatine Amica; immagina più una cosa tipo colazione inclusa allo Sheraton: entri e ti blocchi, come una lepre davanti ai fari dell’auto, interdetto dalla moltitudine delle possibilità.
Se guardi bene però, potrai individuare alcune categorie di persone che gravitano intorno a questo Valhalla di colazioni. Osserviamone qualcuna insieme.
L’ospite.
L’ospite è qualcuno che passava di lì per caso. Non ha grande esperienza di palestre e cerca semplicemente di fare qualcosa per abbassare il colesterolo. Ha infilato timidamente la testa nella porta d’ingresso e ora, senza aver capito bene come, è da due mesi su quella bike.
Vero: quando l’istruttrice che lo segue gli spiega che cosa stanno facendo, tutto acquisisce senso per un po’, ma solo per un po’. Poi torna ad essere confuso, i contorni sfocati e i disegni degli esercizi sulla scheda tornano ad essere strani e incomprensibili geroglifici.
Da cosa si riconosce un Ospite? La prima cosa da osservare è lo sguardo: timido e spaesato, gli occhi sono ben spalancati ma sembrano non mettere bene a fuoco. I movimenti degli esercizi sono appena accennati e il soggetto raramente suda. Passa molto tempo vagando per la sala a cercare gli attrezzi che gli servono. L’abbigliamento è nuovo: palesemente è stato acquistato apposta e viene utilizzato al massimo due volte a settimana.
L’approccio da tenere. Non aver paura di incrociare lo sguardo dell’ospite, non ti metterà a fuoco. L’ospite non è aggressivo, sappi però che se ti fermi a scambiare due chiacchiere potrebbe mettere a fuoco i tuoi lineamenti, imprimendoli nella propria memoria. A quel punto rischi di trasformarti in un “volto amico” unica sua ancora di salvezza in un mondo sconosciuto e terrificante, avvicinati dunque con cautela.
L’atleta modernissimo.
Questa particolare tipologia faunistica si può avvistare a qualsiasi ora, ma in genere predilige le fasce orarie meno affollate. È caratterizzata da un particolare atteggiamento verso gli spazi che la circondano: una serena disinvoltura all’interno delle zone dedicate all’allenamento funzionale, una disgustata rassegnazione nell’avvicinarsi a macchine e zona cardio e infine l’incredibile capacità di obliterare completamente il piccolo tempio della ghisa. I pesi non esistono. A meno che non siano kettlebell.
L’atleta modernissimo vive in un mondo di elastici e resistenze, funi e palle mediche nere. Possiede almeno un indumento marchiato “Under Armour” e il suo motto è lo stesso della Pirelli: la potenza è nulla senza controllo. A volte ascolta una playlist in cuffia, ma più spesso si concentra grazie al ritmo atletico della sua brachicardia. Sa che cosa sono gli amminoacidi e non ha paura di usarli.
Non ti vuole parlare, tu non parlargli.
Il metallo pesante.
Innanzitutto vorrei fare un preambolo. Questa è una categoria che cade vittima di parecchi cliché. È Alex il leone, è la Juve, è la Cina alle olimpiadi di tuffi. Insomma, tutti pensiamo di sapere già cosa vedremo e tendiamo a sommergere queste creature con le nostre aspettative. Ma cosa sappiamo davvero di loro?
Il metallo pesante è il principale frequentatore del tempio della ghisa. In alcuni casi è qui da prima. Prima di cosa? Prima. Ha visto il proprio habitat restringersi negli anni, ciononostante è rimasto e si prende cura di dischi e manubri con amore paterno. Fa parte di una piccola tribù multigenerazionale: i più giovani esemplari di questa specie fanno largo uso del cardio, oppure vanno a correre fuori prima di allenarsi, salendo di corsa le scale della palestra mentre Eye of the tiger sfuma in lontananza. I più anziani tendono invece a mantenere una pacata e ormai consolidata routine di allenamento che rimane fedele a sé stessa negli anni e che fa uso quasi esclusivo di ghisa.
Pur essendo una delle tipologie più temute della sala, questo gruppo è estremamente accogliente, gentile e non giudicante. Nessuno è nato sotto una tonnellata di metallo e anche i più anziani si ricordano come possa essere tosto l’inizio. Sono spesso generosi di consigli e non disdegnano un sorriso, un saluto o una battuta a tutti coloro che osino incrociare il loro sguardo.
La prossima volta che ne vedi uno, vai a dirgli ciao!
Il catorcio
Concludo questa piccola rubrica assolutamente non esaustiva, con una categoria che mi sta davvero molto a cuore: i rotti. Sono ex-atleti, ex-in-forma, ex-persone-in-grado-di-muoversi-autonomamente. Non più. Hanno avuto un incidente, un infortunio, un’ernia. A volte hanno solo una partita iva che li ha schiacciati per anni costringendoli a posture contorte e dolorose. Li potrai avvistare facilmente in fondo alla sala, semi-nascosti all’ombra delle spalliere, ma occhio a non farti vedere mentre li osservi, sono particolarmente timidi e riservati.
Da cosa, ti starai chiedendo, si riconosce un catorcio? Semplice: il catorcio eseguirà degli esercizi che non hai mai visto e che sembrano non avere alcun senso. Potresti notarne uno seduto su una fitball mentre alza e abbassa le mani vuote. Oppure steso a terra che, con le braccia tese, muove un bastone di legno. Se sarai fortunato ne riuscirai a scorgere alcuni mentre, appoggiati alla colonna, stanno con enorme fatica in equilibrio su un piede solo, non fare rumore o si leveranno in volo come uno stormo di fenicotteri.
I rotti non sudano, non fanno attività che possano minimamente influire sul loro metabolismo. Hanno però sulle spalle un cammino importante, ed ogni piccolo movimento rappresenta per loro un grande traguardo.
Sembrano miti e vinti, ma sappi che dietro ai loro insulsi movimenti si cela la forza di volontà di Rocky, di Daniel Larusso, di Crilin.
Ora che sai, ti prego, non li giudicare più, e se ne dovessi incontrare uno, regalagli un sorriso.